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BONDING O ATTACCAMENTO? Il rapporto genitori-figli.

Si parla spesso del legame di attaccamento che il bambino ha nei confronti dei suoi genitori ma mai del caso contrario, confermate?!


Ciao a tutti, piacere di conoscervi! Io sono Sara, sono un’educatrice di asilo nido, fresca laureanda in pedagogia e mi sto specializzando nell’ambito della perinatalità. Seguo spesso corsi per approfondire sempre più il tema della prima infanzia e del settore materno-infantile e, proprio questa mia grande passione, mi ha portata ad affrontare nella mia tesi di laurea magistrale il bonding neonatale.

Ma facciamo un po’ di chiarezza su questo tema!

Il termine bonding nacque nel 1982 negli U.S.A., rivolge l’attenzione a quel legame fisico e psicologico che si struttura in modo unico e permanente e che lega il genitore al proprio bambino fin dai primi istanti di vita.

Avete presente quell’amore che vi scalda il cuore? Quel sentimento così forte che non riuscite a spiegare a parole? Quei primi calcetti o quella manina che spinge contro la vostra pancia? Ecco di cosa parliamo, di quell’amore incondizionato.

Il bonding è un dialogo intimo, un’alternanza di contatti emotivi, fisici, relazionali ed ormonali che portano alla creazione di quel vincolo, di quel “Filo rosso” che unisce per tutta la vita, di cui lo scrittore Alberto Pellai racconta nel suo celebre libro “Io gomitolo, tu filo”.

Tra i maggiori esperti di questo legame si ritrovano i pediatri Marshall Klaus e John Kennell, i quali specificano come, nonostante i termini “attaccamento” e “bonding” siano sinonimi, il primo faccia riferimento al rapporto che il bambino istaura nei confronti dei propri genitori, e il secondo si identifichi come suo opposto.

Tra i fattori che possono avere un’incidenza importante sulla sua creazione abbiamo la tipologia di parto, le caratteristiche genitoriali, il contesto o ancora le condizioni di salute della coppia madre-bambino. Sono stati condotti molti studi sull’attaccamento iniziando nel periodo preparto con l’obiettivo di analizzare la qualità del coinvolgimento affettivo dei genitori già durante l’attesa.

Già a partire dal quarto/quinto mese di gravidanza, grazie anche al supporto della tecnologia, i genitori sembrano avere un’idea di come sarà il proprio figlio, di quali saranno le sue caratteristiche, i suoi pregi e i suoi difetti. È proprio da questa attesa fatta di affetti, amore, attenzioni e paure che, nei nove mesi di gravidanza, si getteranno le basi per la relazione futura.


E i famosi neuroni specchio? Che cosa sono? Hanno un’incidenza in quest’ottica?

Con il termine neuroni specchio si fa riferimento a cellule nervose di tipo neuronale che si attivano nel rapporto con gli altri e… certo che sì, hanno un’incidenza! Vi sarà sicuramente capitato di sorridere al vostro bambino e di vedere riflessa in lui la stessa reazione. Oppure vi siete mai ritrovati in alcuni suoi atteggiamenti? Il bambino, grazie ai neuroni specchio, non solo imita l’aspetto comportamentale ma si pone in empatia con voi. Tutto l’amore incondizionato che un genitore è in grado di donare, si riflette sul neonato già a partire dalla gravidanza e forma la sua persona rendendolo in grado di amare, a sua volta.

Il feto, infatti, è fortemente connesso alle emozioni della madre e proprio grazie ai neuroni specchio si adatta costantemente ai mutamenti materni facendoli suoi e in questo rapporto duale e simbiotico, la madre si adatta a quello che sarà il suo futuro bambino. Questa loro conoscenza, meglio definita come connessione, inizia già a partire dalle prime settimane di gravidanza e si struttura su tre livelli: fisiologico, comportamentale ed empatico.


A livello fisiologico tutto ciò che la mamma durante la gravidanza mangia, beve e introduce nel suo corpo, passa attraverso il sangue e raggiunge il feto.

Il secondo livello ha invece a che fare con la comunicazione comportamentale: i gesti, le azioni, i modi di fare e i vissuti vengono percepiti e plasmano il bambino. È proprio qui che si coglie dunque l’importanza di poter vivere una gravidanza serena, fatta di tempo lento, di supporto e rassicurazioni. Purtroppo, la nostra società da questo punto di vista è carente, in quanto si concentra maggiormente sull’aspetto sanitario (visite, esami a volte anche eccessivi), dimenticandosi però della donna, quale essere umano, fatta di sentimenti, emozioni e paure, che la gravidanza porta con sé, e che necessitano di una maggior attenzione e rielaborazione. È necessario promuovere una maggior attenzione emotiva, una maggior educazione alle proprie emozioni e un sostegno così da poter supportare la persona, e la coppia, in questo viaggio meraviglioso alla scoperta di una nuova vita.

Infine, l’ultimo livello, che a tratti può quasi essere definito magico, è quello empatico: nonostante si stenti a crederlo i pensieri, i desideri, i sogni e le fantasie materne giungono trionfanti nella psiche del neonato contribuendo così alla creazione di quel legame. Vi sarà sicuramente capitato di immaginare il vostro bimbo crescere nel vostro grembo, eppure, seppur con l’aiuto delle ecografie, era tutto frutto della vostra immaginazione. Tuttavia, questo ha avuto un ruolo positivo sulla sua crescita e sulla nascita del vostro legame, un legame per la vita. Oppure il sognarsi genitori, sognare l’amore che risuonerà nell’aria una volta nato il proprio bambino, anche questo contribuisce positivamente a dar forma al suo sviluppo.


Ma quindi se questi sono i presupposti per la creazione del legame in epoca gestazionale, cosa si può fare subito dopo la nascita?

Il profondo legame tra i genitori e il proprio bambino risulta fortemente influenzato anche dalle cure e dalla tipologia di assistenza ricevuta in fase di travaglio e successivo parto. Pertanto, sebbene si tratti di un processo naturale e spontaneo, è compito degli operatori e dei professionisti che seguono la coppia genitoriale aiutarli a dar vita a questo legame. Come?

  • Promuovendo il contatto visivo, utile per favorire l’imprinting e per fornire rassicurazione. L’etologo Konrad Lorenz comprese veramente il concetto di imprintingosservando la nascita di piccoli di oca e rendendosi conto che, la prima persona che vedevano una volta schiuso il guscio, diventava per loro il riferimento primario, la loro base sicura. Così funziona anche per i neonati, che appena venuti al mondo sono totalmente dipendenti dall’adulto e che grazie al contatto tattile, visivo, uditivo e olfattivo, riconoscono i propri genitori come punto di riferimento e richiedono la loro presenza e vicinanza.

  • Garantendo il contatto pelle a pelle chiamato anche skin-to-skin, subito dopo la nascita, il quale oltre ad essere fondamentale per stimolare conoscenza e fiducia reciproca, favorisce la termoregolazione corporea.

  • Praticare il Breast Crawl (una pratica che, alla vista, sembra qualcosa di magico), ossia la risalita del neonato dal ventre materno fino al seno, utile per favorire la suzione e l’allattamento, fortemente raccomandato dalle linee guida dell’OMS almeno fino al sesto mese di vita del bambino.

  • Lo scambio vocale ed olfattivo che permette di continuare quella comunicazione che già si era avviata in precedenza durante la gravidanza.

E il papà?

Nonostante negli ultimi anni (escluse le condizioni date dal COVID-19) la nostra società stia permettendo sempre più ai papà di essere fin dal principio presenti e partecipi in questo percorso alla vita, la visione comune risulta essere ancora la stessa: la gravidanza e la nascita sembrano essere momenti unicamente femminili e quindi, di rimando, i papà sembrano approcciarsi solo in seguito al proprio figlio. Sebbene la visione di questo periodo di vita sia vissuta diversamente da mamma e papà, vi sono alcuni momenti di condivisione che possono favorire il bonding anche con questa figura che per molto tempo è stata vissuta erroneamente come “secondaria” ma non lo è assolutamente. Infatti, è fondamentale ricordarsi che come nella donna, anche nell’uomo è presente una predisposizione biologica all’attaccamento: il testosterone diminuisce in nome di un aumento dell’ossitocina. La differenza sostanziale è che, mentre la donna si vede protagonista attiva fin dal principio, nel padre questo attaccamento deve essere attivato. Tra questi troviamo:

  • La partecipazione ai corsi di accompagnamento alla nascita, i quali permettono il riconoscimento dei propri e altrui diritti e dell’effettiva importanza che il papà ha in quel momento di vita;

  • Il contatto pelle a pelle;

  • Parlare, disegnare e idealizzare, attraverso varie tecniche, il proprio bambino: tutto ciò sembra creare maggior sintonia;

  • Praticare l’arte del massaggio infantile.


Un articolo riportato sul quotidiano “Journal of Perinatal Education” ha riportato, a tal proposito, uno studio condotto su due gruppi di padri in quattro settimane: i partecipanti del primo gruppo praticavano il massaggio quotidianamente con il proprio bambino, quelli del secondo gruppo no. Dai risultati si rilevò che, dall’arte antica del massaggio, riuscivano a trarne benefici sia il papà, che vedeva una riduzione del valore dello stress, sia il bambino, il quale si mostrava più propenso ed interessato ad essere accudito dal padre.

A proposito, hai già visto il nostro corso sul massaggio infantile?


Con la speranza di avervi dato qualche spunto di riflessione vi ringrazio della lettura e vi aspetto nei commenti per le domande.


A presto!

Sara

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