Un tempo si pensava che i bambini nella pancia della mamma fossero passivi, ma gli studi hanno dimostrato che essi sono in grado di apprendere già in questa epoca di vita. Una volta venuto al mondo, il bambino pian piano deve far tesoro delle capacità innate e dei successivi apprendimenti, per poter imparare a comunicare. All’inizio è soprattutto un linguaggio del corpo: stringe, afferra, piange, un linguaggio del tutto primitivo, ma così carico di emozioni che ogni mamma capisce perfettamente e risponde a sua volta con gesti o sorrisi.
È il bambino stesso ad accorgersi dell’utilità della comunicazione, utilizzando il pianto per far sì che genitori e familiari si occupino di lui; inizialmente quindi il pianto costituisce la prima forma di linguaggio, è solo successivamente compaiono le vocalizzazioni e ancora dopo le prime parole.
Attorno ai 18 mesi Il vocabolario può contenere una ventina di termini diversi. Saper combinare insieme due parole è una grande conquista: pian piano scompare la parola singola come espressione onnicomprensiva per lasciare il posto ad accostamenti sempre più complessi.
Presto si arriverà alle prime frasi, almeno in un primo momento grammaticalmente lontane dalle nostre; è importante non correggerlo per non scoraggiarlo, anzi egli ha necessità di sentirsi approvato e accettato, poiché in ogni caso raramente utilizzerà un ordine scorretto delle parole.
Il migliore aiuto per favorire lo sviluppo del linguaggio è parlare al bambino lentamente e a lungo, riferendosi ad oggetti fisicamente presenti. È inoltre fondamentale utilizzare libri illustrati: dieci o venti minuti di tempo al giorno, da dedicare a questa attività in maniera regolare, rappresentano un investimento per il futuro del piccolo.
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Pedagogista Clinica specializzata in Mediazione Familiare